…quandu lu Casteddhu cumpariu…

gretrek “Castello Sant’Aniceto”

Un’altra delle nostre

fantastiche giornate

 

Commenti al trekking  2/13 

Continua la “Scialata” dell’Associazione Grecanica Trekking. L’avventura escursionistica per l’anno 2013 ci ha portato, domenica 12 maggio, a Motta San Giovanni e, più precisamente, al simbolo storico e architettonico di tale Comune: il Castello di Sant’Aniceto.

Componenti e aggregati, con l’immancabile “quota rosa”, si sono ritrovati con leggero ritardo (per via di qualche “gomma forata”) al secondo appuntamento dell’anno presso il Ristorante l’Oleandro, qualche chilometro dopo Motta, a 740 metri s.l.m.

Il forte e fresco vento non ha scoraggiato la “troupe” che, vogliosa di partire, verso le 9,00 iniziava l’escursione attraversando via via località e paesaggi con panorama mozzafiato, soprattutto verso lo Stretto di Messina.

Si “viaggiava” a ritmi turistici tant’è che si è anche potuto ammirare l’attività lavorativa dell’”uomo – agricoltore” di quella zona. Una cura eccezionale si poteva notare, infatti, nelle colture predominanti come i vigneti, gli uliveti e le numerose piante di ciliegio. Non a caso qualche “ceraso”, più crudo che maturo, ha avuto la peggio ( e sia………. ma non dev’essere). Così, nel camminare, all’improvviso,

“………quandu  lu  Casteddhu  cumpariu      a  so  bellizza  giuru……. ’ndi  mutiu.

Pariva  chi  volava  ‘ntà  lu  celu      ‘ndi  parsi  fantasia……. ma  era  veru,

pensammu  a cu  ‘ndeppi  tantu  ‘ngegnu    mi  faci  dhu  gioiellu ‘ntà  dhu  cugnu”.

La vista di tale meravigliosa opera architettonica, ha letteralmente scatenato i numerosi amanti del clic e  videoamatori che, sconvolti da tanta bellezza, non sapevano più quale attrattiva “puntare” per prima. Dopo la visita al castello e dopo l’impeccabile e dettagliata descrizione storico-architettonica del nostro esperto, il dr. Francesco Manti, la comitiva riprendeva la via del ritorno soffermandosi alla fattoria agricola del generoso e ospitale sig. Pino Laganà e della sua famiglia, per l’ormai consueto e sostanzioso aperitivo a base di “suppizzata, formaggio pecorino e bevande di ogni tipo”. Fatto ritorno, così, all’Oleandro,  si è potuto gustare un pranzo veramente eccezionale, preparato dalle fantasiose magie enogastronomiche del titolare, sig. Giovanni Custoza.

Indi, la Grecanica Trekking, grazie all’impegno e all’iniziativa della sua quota rosa, sempre più “rampante”, che aveva portato una marea di torte e dolci d’ogni tipo, festeggiava la giornata della mamma in maniera degna e solenne. Inni, canti e brindisi si sprecavano.

“Dulcis in fundo”, si è festeggiato, contestualmente, il compleanno del nostro socio, l’avv. Roberto Pizzi, che si “svenava” offrendo a tutti spumanti di ogni tipo. Ma tanto lui non ha ”figghj nè pitigghj”, né all’orizzonte s’intravede nulla. Però, caro il nostro “Yul Brinner”……….. mai dire mai!

Il ritmo della tarantella, con ballata finale di gruppo, concludeva il bellissimo evento.

Infine, dopo i saluti generali, la compagnia si dava appuntamento a domenica 16 giugno a Sant’Ilario dello Jonio e Condojanni, con Locri Epizefiri a un tiro di schioppo.

 Insomma………. la scialata continua.

  

NOTIZIE  STORICO – CULTURALI

 1)-  Il Castello di Sant’Aniceto

 Il Castello di Sant’Aniceto (oppure Castello di Santo Niceto o di San Niceto), è una fortificazione bizantina costruita intorno all’anno mille su una piccola radura, in cima ad un’altura rocciosa, che domina la città di Reggio Calabria e tutto lo Stretto di Messina, da punta Ganzirri fino all’estremo sud dell’Etna. Un panorama che è qualcosa di veramente unico.

Il Castello fu costruito come luogo di avvistamento e di rifugio per le popolazioni reggine, per via delle continue scorribande saracene lungo le coste calabresi e siciliane. Intorno all’anno 1050 la fortezza passò sotto il dominio Normanno che ristrutturò e ampliò il sito.

Nel corso dei secoli il Castello divenne il centro del comando del feudo di Sant’Aniceto e passò sotto diversi domini, dagli Angioini agli Aragonesi ed infine sotto il comando della città di Reggio. Nel 1604 fu Baronia di Motta San Giovanni.

Il Castello ha una pianta simile alla forma di una nave, con la prua rivolta verso la montagna e la poppa verso il mare. Esso, nel corso dei secoli, fu ricostruito, ampliato e modificato almeno tre volte. Le sue mura sono alte circa tre – quattro metri e sono costruite con pietra bianca squadrata e malta molto resistente.

La derivazione del suo nome sembra sia siciliano. I suoi fondatori, infatti, erano dei profughi religiosi di origine bizantina che veneravano il loro ammiraglio salvatore (San Niceta) che li condusse, in nave, dal Regno di Bisanzio in Medio Oriente fino alla Sicilia. Da qui, per sfuggire ad altre persecuzioni, i Monaci Basiliani sbarcarono in Calabria ed edificarono un “Kastron” chiamandolo col nome del loro santo protettore.

Il Castello di Sant’Aniceto, quindi, ebbe diverse funzioni da quella religiosa (i monaci basiliani, infatti, preferivano ritirarsi e vivere in posti solitari, da eremiti, e si occupavano anche e parecchio di colture agricole) a quella militare, di difesa e avvistamento.

Di recente il Castello è stato in parte restaurato (anche se c’è ancora parecchio lavoro da fare) per consentire la sua conservazione e il suo pieno recupero storico culturale.

 

1)-  Il Santuario di Maria SS. Assunta del Leandro

 Il Santuario, in principio dedicato al culto di origine bizantina, pare risalga al XVI° secolo. Esso si trova a circa 2 miglia dall’abitato di Motta San Giovanni, a 750 metri sul livello del mare. Al suo esterno sono visibili i resti di un antico monastero bizantino, meta di “romiti” o fedeli di passaggio che venivano ospitati in cellette che ancora si intuiscono.

Al suo interno si trovano una effige della Madonna, una acquasantiera di fine 1600 ed una bellissima statua marmorea cinquecentesca della Madonna col Bambino che viene portata in processione a Motta la prima domenica di maggio (quest’anno la processione è stata proprio il 12 maggio, giorno dell’escursione), per poi ritornare trionfalmente, sempre in processione, il 15 di agosto.

Oltre cinquemila sono i fedeli che il 15 di agosto, giorno della festa dell’Assunta, fanno parte del corteo che accompagna la Madonna in località “Oleandro” e dove ai grandiosi festeggiamenti religiosi si accompagnano altrettanti importanti festeggiamenti civili.

Il Santuario, gestito da una Confraternita, ha il suo stendardo di damasco “incarnato” (cioè rosa) con l’immagine della Madonna.

Pare che il nome Leandro derivi da un Santo spagnolo che aveva lo stesso nome. Altre fonti più recenti lo accostano all’espressione dialettale “du liandru” usata comunemente per indicare il Santuario e che si riferisce alla pianta dell’oleandro, tipica della nostra zona.

                                                                                                                                        T.  Nicolò

Primavera doveva essere e primavera è stata.

gretrek

Commenti al trekking  1/13  “E’ Primavera”

E’ iniziata così, magnificamente, (sotto tutti i punti di vista) l’avventura escursionistica per l’anno 2013 dell’Associazione Grecanica Trekking, giunta ormai al suo 6° anno di attività.

I componenti e i “supporters” – circa 110 unità – di cui un buon 60% di “quota rosa”, qualificata e propositiva, si sono ritrovati al primo appuntamento dell’anno presso l’Agriturismo “La Pambola” – che significa vigna abbandonata – per poi misurarsi con le gole sinuose del torrente Agrifa, le cui rocce “rosse” di conglomerato a strapiombo ai suoi lati e le sue candide e fresche acque davano refrigerio alla comitiva.

Il percorso, che si sviluppava tra le campagne dei Comuni di San Lorenzo e Condofuri, si inerpicava, poi, a tratti bruscamente, verso il Monte Tifia, dalla cui sommità un meraviglioso (riduttivamente parlando) panorama troncava di colpo ogni fatica psico-fisica dei partecipanti. Mare vero e mare d’erba si contraddistinguevano solamente dai mille e più colori che madre natura ha voluto donare alla zona, tempestandola di una infinità fiori. Dopo una breve e gradita sosta – con aperitivo – al “Mandorlo”, che ristorava la carovana, si riprendeva il percorso sotto un sole sempre più cocente attraversando prati erbosi ancora più ampi e più belli.

Il pranzo (ottimo) servito dallo staff dell’esperta cuoca sig.ra Manti, proprietaria della “Pambola”, concludeva la bellissima giornata ed il sigillo finale avveniva col tradizionale ritmo della tarantella, ballata a coppia e con finale in gruppo. Inarrivabile digestivo.

Insomma ‘ncuminciammu mi ‘ndi scialamu.

Notizie storico – culturali

La parte iniziale del percorso, quella lungo il torrente Agrifa, nascondeva, nel senso che non era più visibile perché ormai quasi completamente coperto da vegetazione, un antico pozzo la cui acqua, sollevata col sistema della Senia, ed immessa in un acquedotto in pietra e mattoni, ancora visibile lungo le pareti rocciose, riforniva una fabbrica di pipe situata in località “Saltolavecchia” di Marina di San Lorenzo. Tale fabbrica, di eccezionali dimensioni, ha cessato la sua attività già da parecchi decenni e di essa rimangono i muri perimetrali in mattoni pieni e qualche altro manufatto all’interno di essa.

Riprendendo il discorso della Senia, si specifica che essa ha origine araba e tutt’ora, in parte, viene utilizzata nella zona della Conca d’Oro, vicino Palermo. Il sistema si sollevamento delle acque veniva effettuato dal movimento simultaneo di due pulegge, una a livello della falda acquifera (il pozzo) e l’altra posta poco sopra del livello del terreno. Le due pulegge erano collegate da una cinghia in cuoio o altro tipo di cordame artigianalmente preparato alla quale erano legate le c.d. “tazze” o secchielli che nella discesa si capovolgevano riempendosi di acqua per poi risalire e capovolgersi alla sommità esterna del pozzo in una condotta (canaletta o cunduttu), che serviva a riempire la ”Gebbia”. La gebbia era ed è una costruzione in pietra o mattoni di forma quadrata o rettangolare, capace di contenere grandi quantità di acqua (anche 100 metri cubi) al centro della quale si ergeva un pilastro detto “pipituni” che serviva a smorzare il moto ondoso all’interno della gebbia stessa. Dalla gebbia, poi, l’acqua veniva convogliata nei terreni per irrigare le numerose colture con un sistema preciso di misurazione della quantità di acqua erogata dalla gebbia la cui misura convenzionale era chiamata “zappa d’acqua” (da 50 a 60 metri cubi l’ora). La puleggia esterna della Senia, con un sistema a ruote dentate, anticamente in legno, era collegata con un’asse orizzontale al terreno sulla quale veniva posto un giogo dove venivano legati animali da tiro (cavalli, buoi, ecc.) che, muovendosi senza sosta in senso circolare, garantivano la fuori uscita continua del flusso d’acqua. Infine, dopo una serie di passaggi l’acqua arrivava, finalmente, ai campi lavorati dove veniva convogliata, tramite una serie di “cundutti” sempre più piccoli, all’interno delle “caseddhe”, irrigando così le piantagioni agricole ivi insistenti. Le “caseddhe” erano semplici cioè piatte oppure con solchi sinuosidali e il suo perimetro era costituito da un solco più grande capace di contenere e trattenere l’acqua.

Infine, lungo il percorso gli escursionisti hanno calpestato i sentieri del monte Tifia (già visitato lo scorso anno)  nei cui dintorni si trovano reperti e siti archeologici di età antichissima e che sono stati oggetto di studio da parte di esperti archeologici che hanno provveduto alla loro catalogazione. La logica conseguenza del ritrovamento di tali reperti, a detta degli esperti, ci porta a considerare che in tali luoghi vi sia stato, diverse migliaia di anni fa, un insediamento urbano di considerevoli dimensioni oggetto, ancora, di ricerca e approfondimento da parte di esperti ed appassionati della materia.

T. Nicolò